GIRU’: Un inchino ai ricordi ed all’utilità dell’ulivo

Anni 1958-1960

……. era ottobre, il tempo delle olive !

 

Mio nonno, frantoiano, era ,tra l’altro, anche espertissimo per il periziamento e la quantificazione delle produzioni annuali delle olive per conto di proprietari terrieri locali o dei loro coloni.

La perizia era quanto mai laboriosa e gli unici attrezzi di lavoro erano un rametto verde ed un coltellino a serramanico; il perito infatti (rifacendosi ai metodi tradizionali tramandati dagli antenati) si soffermava presso ogni albero dell’uliveto, osservava attentamente la quantità di frutto  su ogni singolo albero e vi quantificava la quantità presumibile di olive e quindi di olio;  così intaccava sul ramo verde ogni staio di olio previsto (uno staio corrispondeva a 10 lt).

Dal conteggio finale delle “tacche” si deduceva la quantità di olio presumibile finale e di essa dava comunicazione al padrone ed al colono. Il tutto con le dovute spiegazioni.

 

Intanto io, piccoletto, ero il suo nipote preferito ed egli mi chiedeva molto spesso di accompagnarlo in queste visite periziali. Andavo volentieri  perché al termine della stima ricevevo, ogni volta, 100 lire che ovviamente mi servivano per rimpinguare il gruzzoletto personale del mio salvadanaio (salvadanaio in cotto cementato a terra nel deposito di casa per evitare gelosamente ogni possibilità di furto o asportazione del contenuto (u carusiello).

Si può dire che quello è stato il mio primo lavoro . Intanto quanta fatica mi costava, quanta noia e quanta stanchezza in quegli interminabili percorsi negli uliveti!  pianta x pianta!     Nonostante tutto, però,  lo facevo anche perché, in tale funzione, mi sentivo importante in quanto notavo l’attenzione e la devozione che il padrone ed il colono riservavano al mio nonno.

In tale peregrinare mi è rimasta impressa una scena che sovente mi ritorna in mente quando si parla di ulivi, scena nitida e chiara.

Un giorno capitammo in un oliveto plurisecolare, credo che fosse sulle pendici di Montelucno (ameno luogo collinare del territorio sidicino);  quindi mi sovviene la figura del nonno sudato, stanco, ma sereno come non mai. Eravamo soli perché a perizia finita il padrone ed il colono erano già andati via.

Ebbene lui si gira per osservare l’uliveto ormai periziato e godendo del magnifico panorama, mi prende per mano e come se stesse parlando a sè, mi dice:

“Giru’ (era il dialetto del mio secondo nome, Ciro) guarda quanta ricchezza!  la pianta di olivo è una fortuna possederla, perché è utilissima all’uomo più di ogni altro albero e di essa si utilizza tutto: le olive per l’olio; il tronco, i rami e le radici per il fuoco del camino; le frasche per il forno; le foglie per infusi e decotti”.

Che riflessione e quanta sapienza !

 

Oggi tali pregi permangono, ma le tradizioni sono sempre più rare. Di conseguenza è sorta in me la voglia di riscoprire (oltre all’uso tanto diffuso dell’olio e del legno) anche le tante virtù delle foglie, peraltro tanto decantate nell’agroalimentare dei giorni attuali.  Così è nata l’idea di creare, con la  macerazione delle foglie e delle cimette di tale albero, un liquore amaro di olivo (… ovviamente del territorio sidicino !) dal gusto morbido e piacevole : GIRU’.

e …. ancora una conferma di : Olea arborum prima!

 

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